TRIBUNALE DI NAPOLI NORD 
           Sezione del giudice delle indagini preliminari 
 
    Il   Giudice,   dott.ssa   Antonella   Terzi,   all'esito   della
celebrazione dell'udienza con rito abbreviato a carico di: 
        A A nato a il , C E , nato a il , C P nato a il , E G ,  nato
a il , E C , nato a il , E C nato a il , E F nato a il, E  M  nato  a
il, E V nato a il , M E nato a il , P R nato a il , P G nato a il,  S
M nato a il, V V nato a il ; 
    Imputati: 
        del reato p. e p. dagli articoli 110 c.p. 291-bis,  comma  1,
decreto del Presidente della Repubblica n. 43/73 succ. mod.  perche',
in concorso  tra  di  loro,  trasportavano  su  di  un  automezzo  di
nazionalita' italiana con motrice tg e rimorchio tg,  nel  territorio
dello Stato tabacchi  lavorati  esteri  di  contrabbando  o  comunque
detenevano  occultati  all'interno  di  bobine  per  cavi  elettrici,
all'interno di un deposito sito in Teverola, zona industriale ASI,  a
loro in uso, pacchetti di tabacchi lavorati esteri di  varie  marche,
come indicato nel verbale di sequestro della Guardia  di  Finanza  di
Caserta  al  cui  contenuto  si  rinvia   integralmente,   del   peso
complessivo di kg. 4.415,10, sottraendo il predetto  quantitativo  al
pagamento dei diritti di confine. 
    Accertato in Teverola il 22 settembre 2016. 
    Con la recidiva specifica per P R, con la recidiva per P  G,  con
la recidiva specifica per E G, con la recidiva specifica per C P, con
la recidiva reiterata e specifica per M E, con la recidiva  specifica
per A A, con la recidiva reiterata  e  specifica  per  E  F,  con  la
recidiva specifica per S M; 
 
                            O s s e r v a 
 
    A seguito di  richiesta  di  rinvio  a  giudizio  veniva  fissata
l'udienza preliminare. 
    Il P.M. rettificava la contestazione quanto  al  quantitativo  di
t.l.e., originariamente indicato in Kg. 4.450, e quanto alla recidiva
relativa a taluni degli imputati. 
    I difensori muniti di procura speciale  avanzavano  richiesta  di
rito abbreviato che veniva  ammesso  e  all'esito  di  P.M.  chiedeva
affermarsi la responsabilita' di tutti gli imputati,  riconoscersi  a
tutti le attenuanti generiche equivalenti alle contestate recidive  e
condannarsi, con la diminuente del rito, gli imputati  recidivi  alla
pena di anni tre di reclusione ed euro 14.717.000 di multa  ciascuno,
gli imputati incensurati alla pena di anni due di reclusione ed  euro
10.000.000 di multa ciascuno; i difensori  chiedevano  per  tutti  il
minimo della  pena,  il  riconoscimento  delle  attenuanti  generiche
prevalenti sulle recidive, l'esclusione delle recidive. 
    Deve premettersi che le risultanze  processuali  imporrebbero  la
condanna di  tutti  gli  imputati  per  il  delitto  che  viene  loro
contestato in concorso. 
    Univoci in tal senso gli accertamenti di P.G. che  hanno  portato
al sequestro dell'ingente quantitativo di t.l.e.  e  all'arresto  dei
prevenuti, sorpresi a scaricare le stecche di sigarette  dal  veicolo
con targa  estera,  dove  erano  state  abilmente  occultate,  in  un
deposito di Teverola. 
    Gli arrestati, peraltro, in sede di udienza  di  convalida  hanno
concordemente ammesso i fatti, dichiarando di essere stati  reclutati
per lo scarico dietro compenso  di  poche  centinaia  di  euro  e  di
essersi  prestati  spinti  dal  bisogno,  pur  sapendo  che  i  colli
contenevano tabacchi di contrabbando. 
    Tanto premesso, nel  presente  giudizio  rileva,  ad  avviso  del
giudicante, la  questione  di  costituzionalita'  dell'art.  291-bis,
decreto del Presidente della Repubblica n. 43/73  per  contrasto  con
gli articoli 3 e 27, commi 1 e 3 della Costituzione, nella  parte  in
cui prevede, congiuntamente alla pena detentiva della  reclusione  da
due a cinque anni, la pena proporzionale fissa della multa di 5  euro
per grammo convenzionale di prodotto, come definito dall'art. 9 della
legge 7 marzo 1985, n. 76, secondo cui un  chilogrammo  convenzionale
di tabacchi lavorati corrisponde a mille sigarette. 
    La Guardia di Finanza ha precisato, con  apposita  nota,  che  il
quantitativo di prodotto sequestrato (Kg. 4.415,10) e' da  intendersi
espresso in chilogrammi convenzionali. All'affermazione della  penale
responsabilita' degli imputati, conseguirebbe, pertanto, accanto alla
pena detentiva, modulabile tra il minimo  di  due  e  il  massimo  di
cinque  anni,  una  pena  pecuniaria  proporzionale  fissa  di   euro
22.075.000 da ridurre, per il rito, ad euro  14.717.000.  L'eventuale
riconoscimento delle attenuanti generiche, ancorche' prevalenti per i
recidivi che non  si  trovano  nelle  condizioni  soggettive  di  cui
all'art. 99 comma IV c.p., l'eventuale esclusione  della  recidiva  e
l'applicazione del criterio «moderatore» di cui all'art. 133-bis c.p.
consentirebbero,  al  piu',  la  riduzione  della   multa   ad   euro
6.540.888,89, cifra che  rimarrebbe,  come  e'  evidente,  gravosa  e
sicuramente inesigibile a carico di imputati i quali risultano  dagli
atti per la maggior parte disoccupati o  occupati  in  attivita'  del
tutto modeste e poco redditizie. 
    La questione appare altresi' non manifestamente infondata. 
    Non si ignora che l'orientamento della  Corte  costituzionale  e'
stato costante nel  rigettare  le  eccezioni  di  incostituzionalita'
delle pene fisse e delle pene proporzionali fisse proposte  sotto  il
profilo  della  personalita'  della   responsabilita'   penale,   del
carattere rieducativo della pena e del principio di uguaglianza. 
    Tale orientamento trova  nondimeno  un  significativo  correttivo
nella  sentenza  n.  50  del  1980,  la  quale,   sul   rilievo   che
l'adeguamento delle risposte punitive ai casi concreti contribuisce a
rendere quanto piu' possibile personale la responsabilita' penale  ai
sensi dell'art. 27, primo comma della Costituzione  e,  nello  stesso
tempo,  e'  strumento  per  finalizzare  la  pena  all'emenda,  nella
prospettiva di cui all'art. 27, terzo comma  della  Costituzione,  ha
precisato che il dubbio di  legittimita'  costituzionale  della  pena
rigida puo' essere superato in concreto solo a condizione che, per la
natura dell'illecito  sanzionato  e  per  la  misura  della  sanzione
prevista,  questa  ultima  appaia   ragionevolmente   «proporzionata»
rispetto all'intera gamma di comportamenti riconducibili allo  stesso
tipo di reato. 
    Del resto, come precisato in termini generali nella  sentenza  n.
81  del  2014,  il  trattamento   sanzionatorio,   rientrando   nella
«discrezionalita'»  del  legislatore,  e'   censurabile   sul   piano
costituzionale  solo   ove   trasmodi,   appunto,   nella   manifesta
irragionevolezza o nell'arbitrio. Proprio  in  applicazione  di  tale
ultimo principio, con la recente sentenza n. 236 del  2016  e'  stata
dichiarata  l'illegittimita'  costituzionale,  per  violazione  degli
articoli 3 e 27 Cost., dell'art. 567 secondo comma del codice  penale
(delitto di alterazione di' stato di famiglia  del  neonato  commesso
mediante falso), nella parte in cui stabilisce la pena edittale della
reclusione da un minimo di cinque  a  un  massimo  di  quindici  anni
anziche' la pena edittale della reclusione da un minimo di tre  a  un
massimo di dieci anni prevista per l'omologa  violazione  di  cui  al
primo comma. 
    Non  appare  dirimente  ai  fini  di  sciogliere   i   dubbi   di
costituzionalita', l'ordinanza della Corte n.  475  del  22  novembre
2002, con la quale e' stata dichiarata  manifestamente  infondata  la
questione di legittimita' costituzionale dell'art.  291-bis,  decreto
del Presidente della Repubblica  n.  43/73,  argomentandosi  che  «la
graduabilita' della pena detentiva comminata congiuntamente a  quella
pecuniaria, offrendo al giudice un consistente margine di adeguamento
del trattamento sanzionatorio alle particolarita' del caso  concreto,
anche in rapporto a parametri oggettivi e  soggettivi  diversi  dalla
semplice dimensione quantitativa dell'illecito esclude, difatti,  che
la pena edittale del reato in questione possa considerarsi fissa». 
    La pronuncia, infatti, non sembra tenere in debito conto che  gli
effetti «sproporzionati» di una pena pecuniaria esorbitante  rispetto
al fatto e alle condizioni economiche dell'autore non verrebbero meno
neppure se la pena detentiva fosse ancorata ai minimi edittali. 
    Ne' sembra considerare l'ontologica diversita' tra pene detentive
e pene pecuniarie e il  rilievo  che  il  contenuto  patrimoniale  di
queste ultime  rende  la  loro  funzione  rieducativa  innegabilmente
diversa a seconda dei soggetti che ne sono destinatari. 
    Ebbene, l'art. 291-bis, decreto del Presidente  della  Repubblica
n. 43/73 e' norma a  condotta  plurima  (chiunque  introduce,  vende,
trasporta, acquista o detiene), che punisce dunque, allo stesso modo,
tipologie di comportamenti eterogenei, i quali, in concreto,  possono
essere  dotati  di  diverso  disvalore  (altro  e'   l'attivita'   di
«facchinaggio   prezzolato»,   altro   e'   il   trasporto    e    la
commercializzazione a scopo di lucro). 
    Cosicche', gia' sotto questo profilo la  «rigidita'»  della  pena
pecuniaria pare stridere con il principio  della  personalita'  della
responsabilita' penale e della proporzione (articoli 3 e 27, comma  1
Cost.), non essendo la  sanzione  pecuniaria  modulabile  in  ragione
della condotta accertata,  neppure,  come  si  e'  detto,  merce'  il
ricorso ai correttivi di cui  agli  articoli  62-bis  e  133-bis  del
codice penale nella loro massima estensione. 
    Nel caso che ne occupa, in vero, pur a fronte della riduzione  di
cui  all'art.  133-bis  c.p.,  del  riconoscimento  delle  attenuanti
generiche e della diminuente del rito, si dovrebbe comunque  irrogare
una pena di oltre sei milioni e mezzo di multa. 
    Il che e' la riprova che il criterio calmierante di cui  all'art.
133-bis c.p., previsto dal legislatore proprio in considerazione  del
fatto che, diversamente da quella detentiva, la pena pecuniaria ha un
grado di afflittivita' differente  a  seconda  di  coloro  cui  viene
applicata, e' del tutto inefficace quando si sia al cospetto  di  una
sanzione «proporzionale» per la  quale  non  sia  fissato  un  limite
edittale massimo. 
    Ancora piu' evidente il contrasto con la funzione di emenda,  che
intanto puo' essere attuata in quanto il reo percepisca la pena  come
giusta e adeguata rispetto al disvalore del suo comportamento. 
    In questi termini la citata sentenza n. 236 del 2016: «la  severa
cornice edittale censurata... risulta, sul piano della ragionevolezza
intrinseca, manifestamente sproporzionata al  reale  disvalore  della
condotta   punita,   ledendo   congiuntamente   il    principio    di
proporzionalita' della pena rispetto alla gravita' del fatto commesso
(art. 3 Cost.), e quello della finalita' rieducativa della pena (art.
27 Cost.)... L'eccessiva severita' della sanzione... puo'  ingenerare
nel condannato  la  convinzione,  ostativa  a  un  efficace  processo
rieducativo, di essere vittima di un ingiusto sopruso... ». 
    Una  pena  esorbitante  rispetto  al  fatto  e,  per   di   piu',
ragionevolmente inesigibile, confligge dunque con i principi generali
che sorreggono il trattamento punitivo, come delineato dall'art.  27,
comma 3 Cost. 
    Nell'ipotesi  in  esame,  invero,  mancherebbe   nei   condannati
qualsivoglia percezione  della  proporzione  e  della  giustizia  del
trattamento punitivo,  straordinariamente  severo,  vuoi  in  ragione
della  loro  oggettiva  condizione  economica,   vuoi   in   rapporto
all'entita' dei comportamenti che vengono loro addebitati e dai quali
ciascuno avrebbe lucrato poche centinaia di euro. 
    La natura fiscale della violazione  contestata  (sottrazione  del
prodotto al pagamento dei diritti di  confine)  non  giustifica,  sul
piano costituzionale, la parametrazione della multa  al  quantitativo
di prodotto, nella misura straordinariamente elevata di cinque euro a
sigaretta, come risultante dal rinvio alla  norma  extrapenale  della
legge 7 marzo 1985, n. 76. 
    Basti pensare che per  il  delitto  di  detenzione,  commercio  e
trasporto di droghe cosiddette  pesanti,  rispetto  al  quale  assume
rilievo il divieto assoluto di commerciabilita', non previsto  invece
per il t.l.e., la multa, pur elevata, viene invece  modulata  secondo
una forbice che prevede un minimo di ventiseimila  e  un  massimo  di
duecentosessantamila euro. 
    L'art. 291-bis, decreto del Presidente della Repubblica n.  43/37
punisce, invece, una condotta di contrabbando, con una  sanzione  del
tutto   eccentrica   rispetto   al   sistema,   siccome   disancorata
dall'entita'  dell'imposta  evasa  e  modulata  sul  quantitativo  di
prodotto. 
    Una scelta che non trova riscontro in alcuna fattispecie  analoga
o assimilabile e  che  determina  ricadute  sanzionatorie  del  tutto
ingiustificate. 
    Invero, in  materia  di  «contrabbando»,  la  pena  viene  sempre
calcolata in rapporto proporzionale ai  diritti  di  confine  dovuti,
stabilendosi un minimo e un massimo, di regola tra  il  doppio  e  il
decuplo, ed eventualmente fissandosi una soglia  al  di  sotto  della
quale non si puo' scendere (vedi gli articoli  da  282  a  291  dello
stesso decreto del Presidente della Repubblica  n.  43/73  nel  testo
precedente alla depenalizzazione e gli articoli 40 e 43  del  decreto
legislativo n. 504/95). 
    Il  diverso   e   incomparabilmente   piu'   severo   trattamento
sanzionatorio quando la merce sottratta al pagamento dei  diritti  di
confine e' il t.l.e. non pare  rispondere  a  criteri  di  intrinseca
ragionevolezza, ove si consideri, peraltro, che, accanto  alla  multa
viene prevista la pena della reclusione fino a un massimo  di  cinque
anni, il che gia' soddisfa una esigenza di  maggior  rigore  rispetto
alle ipotesi sopra menzionate. 
    Si e' dunque al cospetto di una ingiustificabile incongruenza che
puo' essere emendata con riferimento alle grandezze  dettate  per  le
analoghe fattispecie di contrabbando, le quali tutelano  il  medesimo
interesse giuridico. 
    Si tratta invero di punti di  riferimento  gia'  rinvenibili  nel
sistema legislativo e la cui applicazione consente  di  eliminare  la
denunciata incongruenza senza  invadere  il  campo  della  dosimetria
sanzionatoria propria del legislatore (sul punto ancora  la  sentenza
n. 236 del 2016).